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Sicurezza alimentare: il Campylobacter nel pollo

News Section Icon Pubblicato 29/06/2015

Polli alta densità allevamento

 

Quando si migliora il benessere degli animali, migliora anche la sicurezza alimentare. Quello del Campylobacter nei polli ne è un esempio lampante. Ne abbiamo parlato ad Expo 2015, in occasione del Convegno annuale dell’Ordine dei Biologi Italiani, a cui ha partecipato la nostra responsabile per il Settore Alimentare, Elisa Bianco.

Il Campylobacter è fra le infezioni alimentari più diffuse in Unione europea e la principale causa della diffusione del batterio va rintracciata nella carne di pollo. Le stime ufficiali riportano 9 milioni di casi di infezioni ogni anno nel territorio dell’Unione, con una spesa per la società che si aggira attorno ai 2,4 miliardi di euro l’anno, tra costi sanitari e perdite in termini di giornate di lavoro/scuola (Fonte EFSA). 

Elisa Convegno Biologi
Elisa Bianco, Responsabile Settore Alimentare CIWF Italia Onlus al Convegno Annuale dell'Ordine dei Biologi

A facilitarne la diffusione è soprattutto la pratica dello “sfoltimento”, che consiste nel prelevare dall’allevamento circa il 30% degli animali e portarli al macello qualche giorno prima che l’intero gruppo raggiunga il peso di macellazione. Questo permette di massimizzare la produzione, allevando un numero maggiore di polli all’inizio senza superare mai il numero massimo di chili al metro quadro previsti dalla normativa. 

Secondo la Direttiva europea che stabilisce norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne, si possono allevare polli con una densità che può andare da 33 chili (15/16 polli per metro quadrato) fino a 42 chili per metro quadrato, (20/21 polli per metro quadro), se si chiede una deroga. L’autorizzazione ad allevare in deroga a queste altissime densità può avvenire semplicemente per silenzio assenso.

Un simile affollamento, oltre alla selezione genetica per una crescita rapida, rende gli animali immunodepressi, stressandoli in maniera pesante, rendendo così necessario l’uso massiccio di antibiotici.

In particolare, lo stress causato da questa pratica aumenta la produzione di noradrenalina, che a sua volta pare favorire la diffusione del Campylobacter all’interno dell’organismo: secondo i primi studi sperimentali, in presenza di noradrenalina il Campylobacter, considerato un ospite comune nell’intestino dei polli, diventa capace di oltrepassare la barriera intestinale e spostarsi colonizzando anche altri tessuti. Questo spiegherebbe perché oltre alla contaminazione superficiale delle carcasse, la presenza di Campylobacter è stata rinvenuta anche in campioni di fegato e, in rari casi, all’interno dei tessuti della carne di pollo, aumentando così la possibilità di contagio anche fra gli esseri umani.

Ma il monitoraggio del Campylobacter non è obbligatorio in tutti i paesi. In Italia, ad esempio, non esiste un monitoraggio di routine e i casi vengono segnalati solo se rilevati grazie ad analisi specifiche che però vengono svolte solo raramente.

Elisa Bianco ha spiegato: “Questo è uno degli esempi che dimostra quanto benessere animale e sicurezza alimentare siano connessi tra loro. L’altissima densità, l’assenza di arricchimento ambientale e la selezione delle razze solo in base alla loro produttività rendono gli animali più soggetti allo sviluppo di malattie, costringendo all’uso frequente di antibiotici, e pratiche come lo sfoltimento dei polli, finalizzate a massimizzare la produttività senza tenere in considerazione lo stress causato agli animali, aumentano la possibilità di diffusione di infezioni come quella da Campylobacter, che nel nostro paese, purtroppo, non è attualmente monitorata”.

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