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Miliardi di pesci pescati trasformati in mangime, i numeri shock

News Section Icon Pubblicato 08/02/2024

Per la prima volta, uno studio rivela l’enorme numero di pesci catturati ogni anno in natura e la proporzione sbalorditiva con cui questi sono utilizzati per produrre farina e olio di pesce, impiegati principalmente per alimentare gli animali allevati anziché le persone.

un gran numero pesci pescati in una rete

Lo studio

Pubblicato sulla rivista Animal Welfare, lo studio Estimating global numbers of fishes caught from the wild annually from 2000 to 2019 (“Stimare il numero globale di pesci catturati in natura annualmente dal 2000 al 2019”) è il primo studio a stimare l’entità della pesca e gli impatti sul benessere degli animali derivanti dalle moderne pratiche di pesca. Le evidenze citate nel documento dimostrano come, nonostante la senzienza dei pesci sia ampiamente riconosciuta, i pesci pescati vengano generalmente macellati senza essere prima storditi e subiscano maltrattamenti durante e dopo la cattura.

Dati sbalorditivi

Lo studio, firmato da Alison Mood di Fishcount con la collaborazione di Phil Brooke, il nostro responsabile, rivela che:

  • Ogni anno, a livello globale, viene catturata un’impressionante quantità di pesci selvatici: 1,1-2,2 trilioni di individui.
  • Nel 2019, i pesci catturati in natura hanno costituito l’87% di tutti i vertebrati utilizzati per l’alimentazione umana o animale, secondo i dati calcolati dalle statistiche FAO.
  • Circa la metà di tutti i pesci catturati, tra 490 e 1.100 miliardi di individui, per lo più di piccole dimensioni, viene trasformata in farina di pesce e olio, utilizzata principalmente per i mangimi degli animali allevati anziché per l'alimentazione umana.
  • I pesci piccoli svolgono un ruolo cruciale alla base della catena alimentare marina. Definire limiti di pesca mirati a proteggere l'intero ecosistema potrebbe ridurre il numero di pesci piccoli catturati, portando a una diminuzione stimata delle catture totali compresa tra 150 e 330 miliardi.

La pubblicazione evidenzia i dati del settore ittico, che indicano che il 70% della farina di pesce e il 73% dell'olio di pesce vengono utilizzati nell’acquacoltura per alimentare pesci e crostacei allevati. Raccomanda inoltre lo sviluppo di pratiche di pesca più rispettose, inclusi metodi di macellazione che causino il minor livello di sofferenza e stress possibile, insieme all'adozione di politiche volte a ridurre il numero di pesci catturati, portando a miglioramenti sia per la tutela che per il benessere dei pesci.

Il momento di agire è ora

foto di Phil Brooke

Phil Brooke afferma: "Il nostro ultimo studio Fishcount mette in luce il numero impressionante di pesci selvatici catturati annualmente, con implicazioni etiche sia per le pratiche di pesca che per l’allevamento ittico. Innanzitutto, il benessere dei pesci catturati in natura, sia durante che dopo la cattura, è compromesso. Ogni singolo pesce – sia esso grande o piccolo – può provare dolore, proprio come gli altri animali, eppure durante la cattura viene sottoposto a terribili sofferenze e macellato senza stordimento. È necessario intervenire quanto prima.

“Inoltre, l’ampio impiego di piccoli pesci senzienti per alimentare animali allevati, in maggioranza pesci, rappresenta un ulteriore argomento a favore di una riduzione della pesca per la produzione di farina e olio di pesce. Sarebbe molto più efficiente – e più rispettoso verso gli animali, le persone e il pianeta – lasciare più pesci in mare e destinare la maggior parte di quelli ancora catturati all’alimentazione umana.”

Un sistema crudele e inefficiente

Sosteniamo ormai da lungo tempo che un’acquacoltura sostenibile dovrebbe coltivare specie più in basso nella catena alimentare, spezzando così la dipendenza dalla farina e dall’olio di pesce provenienti da pesci selvatici catturati per tale scopo. Oltre il 90% degli stock ittici censiti sono sovrasfruttati o pescati al massimo della loro resa, e l’acquacoltura è spesso presentata come una soluzione. Tuttavia, una grande porzione della moderna acquacoltura alleva pesci carnivori, come il salmone, la trota o il tonno. Questi sono per lo più allevati in sistemi intensivi, in cui vengono alimentati con una dieta contenente pesci selvatici catturati, contribuendo così in modo diretto alla pressione sulle popolazioni selvatiche.

Si stima che siano necessari circa 440 pesci catturati in natura per nutrire un singolo salmone allevato e circa il 90% dei pesci selvatici utilizzati nei mangimi potrebbe essere direttamente destinato all'alimentazione umana. Questo sistema è inefficiente: quando somministrata ai salmoni, solo il 28% di questa proteina di alta qualità viene mantenuta nell’alimento finale. Ne consegue un possibile impatto negativo sulla sicurezza alimentare, soprattutto nelle comunità già vulnerabili.

Salmone, evidentemente malato, in un allevamento intensivo

Ripensiamo l'acquacoltura

Lo scorso anno, abbiamo pubblicato il rapporto Rethinking Aquaculture: for people, animals and the planet, evidenziando la necessità di abbandonare l’allevamento intensivo di pesci a favore di un’acquacoltura che si basi su specie più in basso nella catena alimentare, così da migliorare il benessere degli animali, ridurre l’inquinamento, limitare l’uso di antibiotici e promuovere un’industria più sostenibile.

Nel febbraio 2023, un primo studio Fishcount, intitolato Estimating global numbers of farmed fishes killed for food annually from 1990 to 2019, ha rivelato che il numero di pesci macellati negli allevamenti a livello globale è aumentato drasticamente: da 61 miliardi di pesci nel 2007 a 124 miliardi nel 2019. Anche questa ricerca, pubblicata sulla rivista Animal Welfare, è stata realizzata da Alison Mood in collaborazione con Phil Brooke.

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