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Famiglia e reciprocità nel rapporto fra natura e popoli indigeni

News Section Icon Pubblicato 09/08/2023

Questa giornata, che l’ONU dedica alle popolazioni indigene, ci dà l’occasione di cambiare prospettiva e guardare a come altre culture, fuori dalla nostra, vivono e hanno vissuto per millenni il loro rapporto con la natura che ci circonda. La conferenza Extinction or Regeneration, che abbiamo organizzato come CIWF a Londra lo scorso maggio, è stata in questo senso un’occasione straordinaria, in particolare grazie all’intervento di Lyla June, musicista e ricercatrice nativa americana della Nazione diné (anche conosciuta come Navajo).

Animali, persone e piante: un’unica famiglia

Durante il suo intervento alla conferenza di CIWF, Lyla ha spiegato il concetto di “kincentricity”. Con questo termine “kin-centricity” – coniato dagli studiosi indigeni Enrique Salmon e Dennis Martinez – si esprime la considerazione per cui ogni creatura fa parte di un’unica famiglia.  Servendosi di alcuni interessanti esempi, Lyla ha spiegato in che modo questo concetto si è tradotto in una particolare gestione della terra, nel rapporto con la natura e con le creature che la compongono.

La kin-centricity è essenzialmente affermare che siamo parenti. Le creature che ci circondano non sono solo senzienti, ma anche nostri parenti, madri, padri e fratelli,” ha spiegato Lyla. Questo significa che le creature che ci circondano meritano lo stesso rispetto delle persone a noi care. La loro morte, per queste popolazioni, è vista come un dono sacro. “Per questo motivo usiamo ogni singola parte dell’animale al meglio delle nostre possibilità, per onorare il fatto che ha appena donato la propria vita. Non so quanti di noi in questa sala darebbero la propria vita in questo momento perché gli altri intorno a noi possano vivere, ma questo è ciò che i nostri parenti animali fanno per noi ogni singolo giorno, così come anche i parenti vegetali.”

La natura e le popolazioni indigene: un rapporto di reciprocità

Nel suo primo esempio, Lyla racconta del rapporto simbiotico che le popolazioni native come quella Cherokee avevano stabilito con i castagni, la più importante fonte alimentare nella regione che ora fa parte degli Stati Uniti orientali.

Prima dell’arrivo dei coloni, attraverso l’utilizzo del fuoco a bassa intensità e una gestione attenta e amorevole di questi alberi-parenti, le popolazioni native erano riuscite a favorire una crescita e espansione rigogliosa dei castagneti, andata avanti per tremila anni. Si trattava di un rapporto di reciprocità fra gli alberi e le persone: queste ultime alimentavano il fuoco nella terra per prendersi cura, gestire e distanziare gli alberi, aumentando il tasso di infiltrazione dell’acqua. In cambio, gli alberi restituivano loro una grande quantità di cibo.

Un rapporto che, purtroppo, è andato a spezzarsi con l’arrivo dei coloni: “Senza la gestione umana questi castagneti sono scomparsi, perché i coloni non hanno capito come distanziare gli alberi in modo corretto, come bruciare in modo corretto.

Durante il suo intervento, Lyla ha poi raccontato di un allevamento millenario di anguille in quella che ora conosciamo come Australia. L’allevamento, ricostruito dopo che era stato distrutto da coloni che prosciugarono il lago per costruire un allevamento di bovini, è ora patrimonio protetto dall’UNESCO.

Anche in questo caso torna l’aspetto della reciprocità. “La cosa importante da notare è che, leggendo la letteratura, non si tratta solo di ‘me, me, me, me’. ‘Voglio l'anguilla, mangio l'anguilla’. [Le popolazioni native] consideravano le anguille come dei parenti, ‘Sono nostre parenti e le rispettiamo perché ci nutrono e ci hanno nutrito per 6000 anni, quindi dobbiamo prenderci cura di loro”.

Quando vedevano arrivare la prima anguilla, la lasciavano andare. Non catturavano l'anguilla più forte e più veloce. In questo modo, hanno persino influenzato il patrimonio genetico e la forza dell'anguilla.”

Proseguendo nel suo contributo, Lyla ha fatto ulteriori esempi, esaminando anche il modo in cui le popolazioni native dell’attuale Nord degli Stati Uniti usassero il fuoco per nutrire la terra e il suolo con sapienza, dando forma al terreno. Nel mese di settembre – da loro chiamato “la luna che brucia l’erba” – bruciavano l’erba secca, restituendo nutrienti, fertilizzando, rendendo più permeabile il suolo e permettendo ricche fioriture in primavera.

Nello stereotipo, i nativi sono visti come quelli che inseguono il bufalo, con arco e frecce, e sono sempre mezzi nudi... Quello che emerge sempre di più, in realtà, è che i bufali ci seguivano e seguivano il nostro fuoco: abbiamo ampliato l'habitat dei bufali fino all'estremo est della Pennsylvania e fino all'ovest della Louisiana. È davvero importante capire che i bufali erano nostri parenti e, con il fuoco, li abbiamo nutriti con le fitte praterie, così come loro hanno nutrito noi.”

Molto da imparare, e da fare

Una cosa appare chiara: i nostri sistemi di produzione hanno molto da imparare da Storie a noi sconosciute, come questa, in cui le popolazioni praticano e praticavano un’agricoltura rigenerativa millenni prima che se ne cominciasse a parlare.

Appare assurdo come nell’ultimo secolo l’allevamento intensivo abbia invaso e conquistato i sistemi alimentari globali, sottraendo gli animali dai campi, chiudendoli in gabbie e capannoni, solo per coltivare enormi aree di terreno con monocolture destinate a produrre il mangime per nutrirli.

L’allevamento intensivo sta distruggendo il pianeta: invece di rispettare e onorare gli animali, manipoliamo la loro genetica, non perché sia più forte, ma perché gli animali crescano più velocemente, per gonfiare i conti in banca di pochi. Invece di nutrire il suolo, lo stiamo impoverendo con i fertilizzanti chimici e i pesticidi. E, come se questo non bastasse, la crescente richiesta di terreno per produrre mangime per gli animali allevati intensivamente sta allontanando le popolazioni locali dalle loro terre, mettendole a rischio di malnutrizione e fame.

Ci stiamo dirigendo verso un precipizio: dobbiamo mettere fine all’allevamento intensivo, ora, prima che sia troppo tardi.

 

 

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