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Epidemie e allevamenti intensivi: 5 fatti da sapere

News Section Icon Pubblicato 31/03/2020

L’ultima pandemia di coronavirus ci ha messo di fronte, per la prima volta e senza alternative, a quanto possono essere gravi le conseguenze se non consideriamo la connessione profonda che esiste fra il modo in cui interagiamo con la natura e la nostra stessa salute. Gli allevamenti intensivi hanno impatti negativi sull’ambiente e costringono un grandissimo numero di animali in spazi ristretti favorendo la diffusione di zoonosi potenzialmente pericolose. È per questo che il ricorso a una dieta consapevole può aiutarci a preservare anche la nostra salute. CIWF Italia lo spiega in 5 punti.

Quali connessioni ci sono fra allevamenti intensivi e pandemie?

L’industrializzazione dell’allevamento ha condotto a un importante aumento del numero di animali presenti sul pianeta: ad oggi, infatti, ogni anno ne alleviamo 75 miliardi in tutto il mondo e circa 600.000 solo in Italia. L’accasamento degli animali in capannoni affollati e chiusi, la loro concentrazione in specifiche aree geografiche, come accade nella nostra Pianura Padana, l’alto livello di stress causato dalle condizioni in cui vengono allevati e il fatto di essere molto spesso geneticamente selezonati al solo scopo di essere più produttivi, facilitano l’indebolimento del sistema immunitario degli animali, creando le condizioni ottimali per favorire la proliferazione e diffusione di virus e batteri zoonotici potenzialmente sempre più virulenti, che possono poi essere causa di epidemie e pandemie. Secondo lo US Centres for Disease Control and Prevention (CDC) tre su quattro delle nuove infezioni e malattie virali provengono dagli animali. Sono esempi conosciuti le infezioni da Escherichia coli, Campylobacter e Salmonella, oltre all’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) e a quella suina (A/H1N1), sviluppo dei quali è favorito negli allevamenti intensivi.

Per maggiori approfondimenti leggere la nota [i]

Allora meglio tenere gli animali sempre rinchiusi nei capannoni?

No, rinchiudere gli animali nei capannoni non è la soluzione per evitare i contagi. Anche se le malattie possono diffondersi sia a partire da animali allevati intensivamente che da animali allevati estensivamente, in generale il rischio cresce con l’aumentare del numero di animali e la densità a cui sono allevati (cioè lo spazio disponibile per ogni singolo animale).

Inoltre, tenere gli animali rinchiusi ad alte densità, non può rappresentare la soluzione perché nessuna profilassi di biosicurezza può assicurare un rischio di contaminazione uguale a zero, in altri termini, non si può avere la totale certezza che i patogeni non si disperdano all’esterno. Nel caso dell’influenza aviaria, per esempio, uno studio ha rivelato la presenza dei virus fuori dai capannoni che ospitavano animali infetti. [ii]

È opinione comune che la diffusione delle zoonosi sia da attribuire solo agli animali selvatici, ma ci sono evidenze che gli spostamenti delle persone, degli animali e delle merci rappresentino il fattore di rischio maggiore. La task force scientifica, riunita dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente/ Convenzione sulle specie migratoriee la FAO, ha dichiarato che: “Tipicamente, i focolai di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) sono associati con la produzione domestica intensiva di pollame e con i sistemi di mercato e commerciali”. [iii]

Antibiotico resistenza e letalità delle epidemie possono essere connesse?

Non esiste un link diretto fra le epidemie virali e la resistenza agli antibiotici, ma la prevalenza di batteri resistenti agli antibiotici può influenzare la capacità di una popolazione umana di reagire alle cure contro i virus. Oggi, ad esempio, pazienti malati di Covid-19, una volta in ospedale, possono sviluppare infezioni secondarie dovute anche a batteri antibiotico-resistenti. La virologa Ilaria Capua ha spiegato a questo proposito al British Medical Journal: “L’Italia ha il più alto numero di morti per antibiotico resistenza nell’UE. I patologi dovranno distinguere fra SARS-CoV-2 come patogeno primario o perlopiù opportunista, che può preparare la strada a infezioni respiratorie più severe causate da batteri multiresistenti agli antibiotici.” [iv] In Italia 10.000 persone muoiono ogni anno a causa di batteri resistenti agli antibiotici, 1/3 del totale dei decessi europei. Sia l’OMS che la FAO riconoscono l’utilizzo degli antibiotici negli allevamenti come una delle cause principali che induce l’antibiotico resistenza. Circa il 70% degli antibiotici venduti in Italia sono destinati agli animali negli allevamenti [v].

La deforestazione causata dagli allevamenti intensivi aumenta il rischio di epidemie?

Il consumo di carne è uno dei maggiori fattori che causano la deforestazione. Il 40% della terra arabile del pianeta è destinato alla coltivazione di mangimi per gli animali negli allevamenti intensivi [vi]. Ci sono sempre più evidenze che attività come l’allevamento intensivo, che causano perdita di ecosistemi e biodiversità, siano una componente chiave dell’emergere di nuove patologie. La perdita di habitat, infatti, espone con maggiore probabilità le persone a patogeni prima del tutto sconosciuti [vii], con i quali non sarebbero venuti in contatto se l’attività umana non si fosse inoltrata in habitat ancora perlopiù inesplorati, aumentando il rischio di scatenare velocemente epidemie e pandemie.

Con le nostre scelte alimentari possiamo fare qualcosa?

Sì, ridurre il consumo di carne e di prodotti di origine animale, preferendo quelli da allevamenti estensivi, contribuisce a diminuire la domanda di terra da coltivare per produrre mangimi, esercitando di conseguenza una pressione minore sugli ecosistemi, rallentando la perdita di habitat e biodiversità e riducendo la probabilità per gli esseri umani di essere esposti a nuovi patogeni. Considerando che quando destiniamo agli animali 100 calorie di cereali che sarebbero edibili per l’uomo, queste vengono convertite in prodotti di origine animale capaci di fornire tra le 17 e le 30 calorie, si capisce chiaramente che la pressione enorme che stiamo esercitando sugli ecosistemi non è un sistema efficiente per garantire un cibo di qualità per una popolazione globale in continua crescita. Gli impatti economici derivanti da una pandemia possono essere incalcolabili: continuare a percorrere esclusivamente la via del profitto e dell’intensificazione senza tenere in considerazione gli impatti è un gioco in cui l’umanità è destinata a perdere sempre.

[i] Maggiori informazioni si trovano nel report Zoonotic Diseases, Human Health and Farm Animal Welfare.

Di seguito alcuni importanti estratti:

• Il più importante esempio di influenza pandemica nella storia dell’umanità è quella della Influenza Spagnola nel 1918-19, che si stima abbia portato a 50 milioni di decessi. Altre due pandemie virali hanno avuto luogo nel XX secolo: una causata dal virus H2N2 nel 1957 e un’altra dal virus H3N2 nel 1968. Sembrerebbe che questi due virus pandemici siano emersi dal riassortimento genetico di virus di uccelli e di umani.

• Diversi eventi di riassortimento genetico avvenuti nei maiali hanno innescato la prima panemia umana del XXI secolo. Inizialmente nominata “suina”, l’influenza H1N1, fu dichiarata pandemica e emerse per la prima volta in Messico nel 2009

• Più specificamente, riguardo al ruolo dell’allevamento intensivo nella diffusione delle infezioni zoonotiche, ci sono alcuni forti esempi che dimostrano questo link:

 

E.Coli è un importante rischio nei feedlot intensivi di ingrasso per i manzi: “L’uso dei feedlots come sistema intensivo per ingrassare i manzi prima della macellazione sembra rappresentare un rischio particolare per lo sviluppo dell’infezione da E. Coli Enteroemorragico (EHEC). La trasmissione da un animale a un altro è probabilmente un risultato delle alte densità nei feedlot. Inoltre, i manzi sono nutriti con una dieta a base di cereal al fine di ingrassare velocemente. Questa diete promuove la crescita degli E.Coli, compresi gli EHEC, portando a una colonizzazione che può poi infettare gli altri animali”. Una dieta ad alto contenuto di fibre (ad esempio di erba) riduce sostanzialmente il rischio di infezione.

- Il Campylobacter rappresenta un problema importante anche nella carne di pollo: Le razze utilizzate negli allevamenti intensivi, a rapido accrescimento, hanno maggiore probabilità di essere infettate di quelle a più lento accrescimento. La pratica dello sfoltimento, che permette di allevare i polli giovani ad alte densità, è un importante rischio di incremento di infezioni da Campylobacter, sia per lo stress causato agli animali, sia per errori nelle procedure di biosicurezza.

Il rischio di infezioni da Salmonella è più alto nei gruppi più grandi di animali e nei sistemi in gabbia: i due possono essere connessi dao che I sistemi in gabbie di batteria, come altri sistemi intensivi, hanno gruppi molto numerosi di animali.

[ii] Power, C.A. (2005) An investigation into the potential role of aerosol dispersion of dust from poultry barns as a mode of transmission during an outbreak of avian influenza (H7:N3) in Abbotsford, BC in 2004. Bulletin of the Aquaculture Association of Canada, 105: 7-14.

[iii]http://www.cms.int/sites/default/files/Scientific%20Task%20Force%20on%20Avian%20Influenza%20and%20Wild%20Birds%20H5N8%20HPAI_December%202016_FINAL.pdf

[iv] https://www.bmj.com/content/368/bmj.m1065

[v] https://www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/4872

[vi] Mottet et al. (2017). Livestock: On our plates or eating at our table? A new analysis for the feed/food debate. Global Food Security 14:1-8. https://doi.org/10.1016/j. Gfs.2017.01.001

[vii] Jones, B.A., Grace, D., Kock, R., Alonso, S., Rushton, J., Said, M.Y., McKeever, D., Mutua, F., Young, J., McDermott, J. and Pfeiffer, D.U., 2013. Zoonosis emergence linked to agricultural intensification and environmental change. Proceedings of the National Academy of Sciences, 110(21), pp.8399-8404.

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