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Allevamento e consumo di carne assenti a COP21

News Section Icon Pubblicato 14/12/2015

CIWF International denuncia l’assenza dell’allevamento e delle abitudini alimentari nei negoziati sui cambiamenti climatici di Parigi e lancia una petizione internazionale perché entrino a far parte dell’agenda di COP21 come importanti settori produttori di gas serra. CIWF chiede inoltre che venga fissato un obiettivo di riduzione del consumo di carne del 50% entro il 2030 nei paesi sviluppati. L’iniziativa di CIWF è sostenuta in Italia dal geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi e, a livello internazionale, da esperti e scrittori fra cui anche Michael Pollan.

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L’allevamento contribuisce per il 14,5% alle emissioni totali di gas serra globali, secondo i dati della FAO. Si tratta di una percentuale importante eppure durante la prossima Conferenza delle Parti che si svolgerà a Parigi, non ci saranno negoziazioni relative all’allevamento e neanche allo stile alimentare.
E’ per questo che CIWF ha lanciato una petizione per chiedere che questi due argomenti entrino a far parte dei negoziati di Parigi.

Sappiamo che le attività umane hanno un impatto forte sul cambiamento climatico e che creano una minaccia seria per il pianeta e i suoi abitanti. Secondo i dati attuali dovremmo ridurre le emissioni di gas serra nei paesi sviluppati di almeno l’80% da qui al 2050 per avere una possibilità di restare sotto la soglia di pericolo rappresentata da un aumento medio della temperatura di 2°C.

L’intensificazione sostenibile non è una soluzione - CIWF ritiene che una intensificazione della produzione della carne, per ridurre le emissioni e aumentare contemporaneamente la produttività, non sia necessaria e possa essere, anzi, controproducente. Il sistema di produzione può essere reso più efficace (ad esempio nella gestione delle deiezioni), ma solo in maniera che non nuoccia al benessere degli animali e in ogni caso, come dimostra un autorevole studio della Chatham House [1], le misure tecniche di attenuazione e l’aumento della produttività saranno insufficienti da sole ad impedire un aumento delle emissioni di gas da parte dell’agricoltura, e ancora di più la loro riduzione.

Allevamento: l’elefante nella stanza - Uno studio del 2014 mostra che se il sistema attuale di intensificazione dell’agricoltura e dell’allevamento resterà tale, condurrà ad un aumento delle emissioni di gas serra del 77% entro il 2050. Queste emissioni, da sole, potrebbero causare un aumento della temperatura mondiale vicino ai 2°[2].

Gli effetti di una riduzione del consumo di carne - Lo stesso studio conclude che le emissioni di agricoltura ed allevamento possono diminuire solo con una riduzione del 50% dello spreco di cibo e con un cambiamento nella dieta. Questo implicherebbe una riduzione del consumo di carne in molte regione del pianeta, ma comprenderebbe anche un aumento del consumo in altre regioni in cui la carne viene ora consumata in scarse quantità.

Nello studio già citato della Chatham House, si conclude che è improbabile che si possa rimanere sotto il tetto dell’aumento di temperatura di 2° senza ridurre il consumo di carne e latte e loro prodotti derivati. E secondo uno studio pubblicato nel 2014 [3] riducendo del 50% il consumo di carne, latte e uova nell’Unione europea, si ridurrebbero le emissioni del 25-40%.

Dichiara Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia Onlus: “Se la Conferenza di Parigi deve sviluppare una road map credibile per limitare il riscaldamento globale al limite dei 2°, l’allevamento e un cambiamento nella dieta devono essere presi in considerazione molto seriamente. Per questo chiediamo che l’allevamento e l’alimentazione siano inclusi nel nuovo accordo globale e che siano considerati fra i più importanti settori che devono ridurre le proprie emissioni. Chiediamo anche che nell’accordo di Parigi venga incluso l’obiettivo di riduzione del 50% del consumo di carne nei paesi sviluppati entro il 2030.”

Il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi, firmatario delle richieste di CIWF International, sostiene la campagna di CIWF e ha dichiarato: “Il cambiamento climatico è una grave minaccia per tutti ed è necessario agire ora. Anche io mi unisco a CIWF e chiedo ai leader mondiali di inserire l’impatto degli allevamenti e della produzione del nostro cibo nel nuovo accordo sul clima di COP21. E’ urgente che i paesi industrializzati si impegnino a ridurre in maniera importante il consumo di carne.”


Per approfondimenti, foto e interviste contattare Federica di Leonardo 393 6040255


Note

[1] Bailey R et al, 2014. Livestock – Climate Change’s Forgotten Sector. Chatham House.
[2] Bajželj B. Et al, 2014. Importance of food-demand management for climate mitigation. Nature Climate Change http://www.nature.com/doifinder/10.1038/nclimate2353
[3]Westhoek H et al, 2014. Food choices, health and environment: Effects of cutting Europe’s meat and dairy intake. Global Environmental Change, Vol 26, May 2014 p196-205.http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0959378014000338


Chi siamo

Compassion in World Farming (CIWF) Italia Onlus è l'unica associazione italiana no profit che lavora esclusivamente per la protezione e il benessere degli animali negli allevamenti. La mission di CIWF è quella di porre fine all’allevamento intensivo. Nel fare ciò, CIWF promuove pratiche di allevamento rispettose del benessere degli animali, dell'ambiente e delle persone. Si tratta di un approccio pluridisciplinare che mette in evidenza i legami esistenti tra benessere animale, salute pubblica, sicurezza alimentare e problematiche ambientali, proponendo alternative percorribili all'allevamento intensivo. Siamo affiliati alla ONG internazionale Compassion in World Farming, di cui condividiamo approccio e finalità.

Approfondimenti

Un’industria energivora

L’allevamento industriale necessita di per se stesso non soltanto di molta energia per fare crescere gli animali, ma anche per coltivare grandi quantità di alimenti necessari per nutrirli. Secondo uno studio pubblicato dalla Royal Society, l’alimentazione è il primo fattore di utilizzo dell’energia nell’allevamento intensivo con circa il 75% dell’energia totale richiesta.
Il resto dell’energia è utilizzato per delle attività come il riscaldamento, l’illuminazione e la ventilazione.

“L’allevamento industriale dei bovini necessita di due volte in più l’energia fossile dell’allevamento sui pascoli” Pimentel, 2004; In Impacts of Organic Farming on the Efficiency of Energy Use in Agriculture


Molte fonti di anidride carbonica, metano e protossido di azoto

L’allevamento industriale produce gas a effetto serra lungo tutta la catena produttiva; oltre alla digestione degli alimenti, che produce chiaramente dei gas, la deforestazione per creare zone di coltivazione destinate all’alimentazione dell’allevamento intensivo e per allevare animali, riduce i pozzi di carbonio vitali e libera gas precedentemente stoccati nel suolo e nella vegetazione.

La fabbricazione di fertilizzanti di sintesi necessari alle colture intensive per l’alimentazione animale utilizza ugualmente quantità considerevoli di energia fossile che si traduce in importanti emissioni di CO2.
Ma l’anidride carbonica non è il principale problema: il metano e il protossido di azoto sono a loro volta prodotti in grandi quantità e liberati attraverso differenti fonti, notoriamente le deiezioni animali, la fermentazione prodotta dai ruminanti durante la digestione e l’utilizzo di fertilizzanti. L’allevamento produce rispettivamente il 37% e il 65% di metano e di protossido di azoto mondiali. Questi due gas sono molto più inquinanti dell’anidride carbonica.

“Il potenziale di riscaldamento climatico di metano e protossido di azoto è rispettivamente 25 volte e 298 volte più potente che il diossido di carbonio”
Gruppo di esperti intergovernativo sull’evoluzione del clima (GIEC) 2007Intergovernmental Panel on Climate Change, 2007. Climate Change 2007: Working Group I: The Physical Science Basis

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